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I falsi cadornisti di Palazzo Chigi

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di MASSIMO GIANNINI-LA REPUBBLICA

UNA POLITICA industriale cervellotica e schizofrenica. Non c’è altro modo per giudicare le non-scelte del governo sugli asset stretegici del Paese. Due anni fa, in piena campagna per le elezioni politiche, Berlusconi costruì una sua dissennata linea del Piave per difendere Alitalia dall’assalto dei francesi. Oggi, alla confusa vigilia delle elezioni regionali, il premier sbaracca la sua disastrata linea Maginot per regalare Telecom agli spagnoli.

Non sarà certo “Repubblica” a gridare allo scandalo perché un altro pezzo importante del nostro Sistema-Paese finisce in mani straniere. Certo non si può gioire per questo. Ma già due anni fa considerammo strumentale e anti-storica la difesa sciovinista dell’”italianità” della compagnia di bandiera, e sbagliata perché più incerta e costosa la nascita della “Fenice”, la famosa cordata tricolore di Colaninno&soci. Se l’opzione autarchica era di per sé discutibile allora nel trasporto aereo, lo è altrettanto oggi nelle telecomunicazioni. Ma nell’affare Telecom-Telefonica, come giustamente anticipava Paolo Gentiloni su “Affari & Finanza” di ieri, ci sono buchi neri clamorosi.

Il primo buco nero è politico. Se il centrodestra considera l’italianità delle aziende un valore in sé, allora deve farlo valere sempre e non a corrente alternata. Ma ci rendiamo conto che è impossibile esigere coerenza da chi ha costruito la sua intera biografia personale sulle bugie. Tuttavia qui una domanda è d’obbligo: che ruolo avrà Mediaset? C’è qualche nuovo interesse in conflitto, tra la decisione sul destino di un “bene pubblico” come le tlc e la posizione del presidente del Consiglio-proprietario di un impero radiotelevisivo privato? Non sarebbe la prima volta. Ma sarebbe gravissimo se per qualche ragione segreta o per qualche via traversa anche “l’azienda di famiglia” partecipasse alla festa di matrimonio, magari anche solo attraverso partite di scambio lucrate in terra spagnola.

Il secondo buco nero è finanziario. Come si celebreranno le nozze non è affatto chiaro. Telecom è controlata da Telco, la holding che possiede il 22,5% del capitale, suddiviso in quote paritetiche tra Telefonica e i soci italiani (Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo). Il resto è polverizzato tra migliaia di piccoli azionisti. Qui le domande sono tante. Come avverrà la fusione? Con un’Offerta pubblica di acquisto e scambio? A quali prezzi e con quali valori di concambio? E come saranno tutelate le minoranze? Sarà importante capirlo, per avere la certezza di chi ha vinto la partita (sicuramente Carlos Alierta) e chi potrebbe perderla più di altri (i risparmiatori in Borsa).
Il terzo buco nero è economico.

Nelle condizioni attuali Telecom non può reggere. Ha debiti per 35.185 milioni di euro, deve ridurre il suo perimetro operativo (vedi vicenda Argentina), è costretta a dimezzare gli investimenti. Quando fu privatizzata valeva il triplo di Telefonica: oggi è il contrario. Ma Telecom ha in pancia una risorsa straordinaria: la rete, sulla quale non transitano più solo i telefoni, ma Internet, la banda stretta, quella larga e in prospettiva anche quella ultra-larga. Cioè tutto ciò che serve a modernizzare e a connettere un Paese. La rete è un monopolio naturale, e come sostiene Franco Bernabè non può essere scorporata dall’azienda, senza decretarne l’”eutanasia” industriale.

Qui la domande sono due. Che ne sarà della rete? Chi la controllerà e con quali risorse? Secondo le indiscrezioni, il governo punta a ottenere dagli spagnoli garanzie attraverso clausole e patti para-sociali. Sarebbe bene conoscerli. Già quando nacque Telco agli spagnoli furono imposte ben 28 condizioni. Se ne potranno aggiungere altre 28, o magari 128. Ma alla fine quello che importa sapere non è solo chi sarà il vero “padrone” della rete, ma come potrà farla fruttare, potenziandola e portandola ovunque c’è bisogno.
Speriamo che Berlusconi, Scajola e Romani colmino presto questi buchi neri. Quello che difficilmente riusciranno a dimostrare è che il Paese sta facendo l’affare del secolo. È vero, da questa fusione può nascere il più grande player delle telecomunicazioni globali. Ma l’Italia, ancora una volta, arriva all’altare sconfitta. Per l’insipienza dei politici, molto più che dei manager, è costretta ad arrendersi a un “matrimonio riparatore”. La stessa cosa, temiamo, succederà molto presto all’Alitalia con Air France. Ma è questo che piace, evidentemente, ai falsi “cadornisti” di Palazzo Chigi.
m.gianninirepubblica.it

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