di MASSIMO GIANNINI-LA REPUBBLICA
Non sarà certo “Repubblica” a gridare allo scandalo perché un altro pezzo importante del nostro Sistema-Paese finisce in mani straniere. Certo non si può gioire per questo. Ma già due anni fa considerammo strumentale e anti-storica la difesa sciovinista dell’”italianità” della compagnia di bandiera, e sbagliata perché più incerta e costosa la nascita della “Fenice”, la famosa cordata tricolore di Colaninno&soci. Se l’opzione autarchica era di per sé discutibile allora nel trasporto aereo, lo è altrettanto oggi nelle telecomunicazioni. Ma nell’affare Telecom-Telefonica, come giustamente anticipava Paolo Gentiloni su “Affari & Finanza” di ieri, ci sono buchi neri clamorosi.
Il primo buco nero è politico. Se il centrodestra considera l’italianità delle aziende un valore in sé, allora deve farlo valere sempre e non a corrente alternata. Ma ci rendiamo conto che è impossibile esigere coerenza da chi ha costruito la sua intera biografia personale sulle bugie. Tuttavia qui una domanda è d’obbligo: che ruolo avrà Mediaset? C’è qualche nuovo interesse in conflitto, tra la decisione sul destino di un “bene pubblico” come le tlc e la posizione del presidente del Consiglio-proprietario di un impero radiotelevisivo privato? Non sarebbe la prima volta. Ma sarebbe gravissimo se per qualche ragione segreta o per qualche via traversa anche “l’azienda di famiglia” partecipasse alla festa di matrimonio, magari anche solo attraverso partite di scambio lucrate in terra spagnola.
Il secondo buco nero è finanziario. Come si celebreranno le nozze non è affatto chiaro. Telecom è controlata da Telco, la holding che possiede il 22,5% del capitale, suddiviso in quote paritetiche tra Telefonica e i soci italiani (Mediobanca, Generali e Intesa Sanpaolo). Il resto è polverizzato tra migliaia di piccoli azionisti. Qui le domande sono tante. Come avverrà la fusione? Con un’Offerta pubblica di acquisto e scambio? A quali prezzi e con quali valori di concambio? E come saranno tutelate le minoranze? Sarà importante capirlo, per avere la certezza di chi ha vinto la partita (sicuramente Carlos Alierta) e chi potrebbe perderla più di altri (i risparmiatori in Borsa).
Il terzo buco nero è economico.
Nelle condizioni attuali Telecom non può reggere. Ha debiti per 35.185 milioni di euro, deve ridurre il suo perimetro operativo (vedi vicenda Argentina), è costretta a dimezzare gli investimenti. Quando fu privatizzata valeva il triplo di Telefonica: oggi è il contrario. Ma Telecom ha in pancia una risorsa straordinaria: la rete, sulla quale non transitano più solo i telefoni, ma Internet, la banda stretta, quella larga e in prospettiva anche quella ultra-larga. Cioè tutto ciò che serve a modernizzare e a connettere un Paese. La rete è un monopolio naturale, e come sostiene Franco Bernabè non può essere scorporata dall’azienda, senza decretarne l’”eutanasia” industriale.
Qui la domande sono due. Che ne sarà della rete? Chi la controllerà e con quali risorse? Secondo le indiscrezioni, il governo punta a ottenere dagli spagnoli garanzie attraverso clausole e patti para-sociali. Sarebbe bene conoscerli. Già quando nacque Telco agli spagnoli furono imposte ben 28 condizioni. Se ne potranno aggiungere altre 28, o magari 128. Ma alla fine quello che importa sapere non è solo chi sarà il vero “padrone” della rete, ma come potrà farla fruttare, potenziandola e portandola ovunque c’è bisogno.
Speriamo che Berlusconi, Scajola e Romani colmino presto questi buchi neri. Quello che difficilmente riusciranno a dimostrare è che il Paese sta facendo l’affare del secolo. È vero, da questa fusione può nascere il più grande player delle telecomunicazioni globali. Ma l’Italia, ancora una volta, arriva all’altare sconfitta. Per l’insipienza dei politici, molto più che dei manager, è costretta ad arrendersi a un “matrimonio riparatore”. La stessa cosa, temiamo, succederà molto presto all’Alitalia con Air France. Ma è questo che piace, evidentemente, ai falsi “cadornisti” di Palazzo Chigi.
m.gianninirepubblica.it
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